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GLI ANTICHI MESTIERI

La coltivazione e lavorazione della canapa

Nei secoli passati, ogni famiglia aveva una striscia di terreno per poter coltivare la canapa che serviva a produrre il tessuto necessario all'uso quotidiano e al corredo dei figli. Di solito erano strisce strette e lunghe circa 30 metri, a loro volta suddivise in piccoli pezzi assegnati ad ogni membro della famiglia e confinanti con ruscelli o fontane sorgive dove si scavavano i nëce. Il nëce, nex, o necc nel patois di Fénis, era un buco scavato nel terreno che serviva per macerare le fibre della canapa. La canapa aveva bisogno di molta acqua per crescere lunga e rigogliosa, perché più lunga era più fibra se ne ricavava. Quando si raccoglieva la canapa, verso la fine di agosto il maschio e più tardi la femmina per consentire la maturazione dei semi, si raccoglievano le canne in mannelli (fasci) che si portavano ai nëce e, quando si levavano dalla macerata, si facevano dei covoni che venivano appoggiati ai tronchi dei salici per farli asciugare; a questo punto bisognava fare molta attenzione perché c'era chi li rubava. Il procedimento usato dopo la raccolta era il seguente: il maschio era diviso dalla femmina per separare le qualità della fibra in quanto la femmina era più grezza mentre il maschio produceva fibra più fine e lunga. Le canne venivano sovrapposte a formare delle cataste regolari e messe in ammollo per 12-14 giorni in queste pozze che si trovavano vicino a ruscelli dove era disponibile acqua corrente che serviva a tenere sempre colme le buche. Restando in ammollo la corteccia delle canne marciva e in questo modo consentiva di separare i filamenti tenuti insieme dalla cellulosa. L'operazione della macerata andava seguita attentamente perché da essa dipendeva il buon esito della produzione del filo: infatti, se non veniva macerata a sufficienza, la fibra non si staccava dalla corteccia, ma se restava a bagno troppo a lungo, anche la fibra marciva e il raccolto veniva dimezzato. Nella "gramola" avveniva il primo passaggio della lavorazione dei mannelli dopo l'essiccazione in covoni; questo attrezzo serviva per rompere in modo grossolano la corteccia già sfibrata dal macero nei nëce.
L'edificio della pila a Rovarey: la pila, o maciulla, serviva a facilitare il lavoro della scapecchiatura riducendo in frammenti ancora più piccoli la corteccia della fibra in modo che gli scapecchiatoi (pettini) potessero dividere la fibra rendendola il più sottile possibile allo scopo di produrre un filo adatto ad un tessuto più prezioso.

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